PODCAST | Bénédicte Prot intervista Alberto Fasulo, regista del film Menocchio.
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Alberto Fasulo, anche documentarista, parla del suo secondo lungometraggio di finzione e della sua volontà di fare un film più astratto che storico sul personaggio di Menocchio, che ha scelto solo, nel buio del carcere, davanti all’ Inquisizione, di rimanere fedele a quello che gli diceva la sua mente fuori dal comune. Interrogato da noi sulla semplicità nuda della forma come del fondo, Fasulo parla del suo approccio, che è di stare vicino al reale, ma che l’ha condotto alla scelta di filmare (lui stesso) nelle condizioni d’epoca, senza luce elettrica, un’ opera splendida e unica che ricorda l’universo dei pittori del Rinascimento. Il regista ci spiega anche perché ha scelto di lavorare con attori non-professionisti.
Menocchio: Italia. Fine 1500. La Chiesa Cattolica Romana, sentendosi minacciata nella sua egemonia dalla Riforma Protestante, sferra la prima sistematica guerra ideologica di uno Stato per il controllo totale delle coscienze. Il nuovo confessionale, disegnato proprio in questi anni, si trasforma da luogo di consolazione delle anime a tribunale della mente. Ascoltare, spiare e denunciare il prossimo diventano pratiche obbligatorie, pena: la scomunica, il carcere o il rogo. Menocchio, vecchio, cocciuto mugnaio autodidatta di un piccolo villaggio sperduto fra i monti del Friuli, decide di ribellarsi. Ricercato per eresia, non dà ascolto alle suppliche di amici e famigliari e invece di fuggire o patteggiare, affronta il processo. Non è solo stanco di soprusi, abusi, tasse, ingiustizie. In quanto uomo, Menocchio è genuinamente convinto di essere uguale ai vescovi, agli inquisitori e persino al Papa, tanto che nel suo intimo spera, sente e crede di poterli riconvertire a un ideale di povertà e amore.