Presentato come evento speciale alle Giornate degli Autori durante l’82esima Mostra del Cinema di Venezia, il film “Il quieto vivere” di Gianluca Matarrese ritrae la faida familiare di un piccolo borgo calabrese. Ambientato durante le festività natalizie, il documentario esplora un microcosmo di 70 persone, tutte parenti stretti, segnato da antiche faide e sentimenti contrastanti. La narrazione si concentra sui conflitti tra due cognate, protagoniste di una vera e propria guerra domestica fatta di denunce, tensioni e piccoli drammi quotidiani, che riflettono le sfumature di un’Italia profondamente tradizionale e complessa.
Un progetto nato dai ricordi di infanzia e dall’osservazione
Il regista Gianluca Matarrese racconta che “Il quieto vivere” ha radici profonde, coltivate fin dai primi anni di vita. Cresciuto tra Torino e la Calabria, trascorreva le estati nel borgo di famiglia, vivendo immerso in quelle dinamiche familiari tormentate che lo hanno sempre affascinato. “Questa teatralità della mia famiglia si è radicata in me fin dall’infanzia”, spiega, “pensavo che ci fosse un modo per catturarla e raccontarla”. La presenza di sua cugina, Maria Luisa Magno, narratrice nata e amante delle storie, ha costituito un punto di svolta: il suo talento di storyteller ha ispirato il progetto di un film che catturasse questa teatralità autentica e complessa.
Una narrazione che sfuma tra realtà e messa in scena
Il metodo di lavorazione adottato da Matarrese si distingue per il suo approccio laboratoriale e quasi reality. Il film nasce dall’intuizione di ricreare una situazione reale, alimentata da riferimenti a eventi accaduti durante le festività, come pranzi, cene e incontri familiari. La produzione ha coinvolto attori non professionisti, guidati da un canovaccio scritto a più mani, che si basa sui racconti delle stesse protagoniste. “Abbiamo preparato un set discreto, facendo attenzione a mantenere la spontaneità, e abbiamo catturato le scene come in un documentario”, spiega il regista.
Il cibo, elemento simbolico di aggregazione
Il cibo ricopre un ruolo centrale in “Il quieto vivere”: i momenti di preparazione e condivisione di pasti durante le feste diventano lo scenario in cui le tensioni vengono accentuate o stemperate. La convivialità e le dinamiche che si svelano intorno a tavola rappresentano, ancora una volta, un elemento universale e tutto italiano. La stessa spontaneità degli attori sul set si unisce all’autenticità dei fatti raccontati, creando un mix tra finzione e realtà che dà profondità alla narrazione.
L’ambiente familiare come teatro di emozioni autentiche
Gianluca Matarrese sottolinea come il film non punti a stabilire chi abbia torto o ragione, ma si concentri sulla ricerca di un senso di verità emotiva. “Non si tratta di decifrare i punti di vista, ma di cogliere il sentimento più genuino”, afferma. La presenza costante delle zie, sorelle tra loro, funge da coro tragico, rendendo il quadro ancora più realistico e intenso. La loro funzione di testimoni, oltre che di mediatori, accentua il carattere universale delle relazioni familiari italiane, rese ancora più credibili dalla registrazione di eventi reali, come le tensioni durante le feste.
Reazioni della famiglia e potenzialità terapeutiche del racconto
L’esperienza di girare il film ha suscitato reazioni diverse tra i protagonisti. Le protagoniste, che non avevano mai visto il risultato finale, sono state coinvolte nel dibattito pubblico durante la prima, mostrando emozioni autentiche e mettendo in scena le proprie dissonanze. Matarrese evidenzia come il film abbia rappresentato, in modo quasi catartico, una sublimazione dei sentimenti di rancore, contribuendo forse a raffreddare i conflitti irrisolti della famiglia. “È stato un momento magico, di unione e di consapevolezza”, conclude il regista, sottolineando il valore terapeutico di questa esperienza creativa.
Un microcosmo tutto da scoprire
“Il quieto vivere” si configura come un esempio di cinema documentario che mescola realtà, finzione e teatro, rivelando le tensioni e le fragilità di una famiglia calabrese. Un racconto autentico e universale, capace di attraversare i confini regionali e culturali, offrendo uno sguardo intimo sulle relazioni di sangue, con il loro peso e la loro umanità. In un’Italia in cui i legami familiari sono spesso fonte di gioia e di contrasti, questa opera si distingue per la sua capacità di trasformare il dolore in arte, e le parole in immagini di un quotidiano che supera la finzione.
Plot
Ogni famiglia è infelice a modo suo, soprattutto quelle che si odiano perché costrette a vivere nella stessa palazzina di uno sperduto borgo calabrese, un piccolo agglomerato di abitazioni situate in cima a un colle che tutti chiamano il Cozzo. E in ogni famiglia infelice, a ben guardare, c’è sempre qualcuno più infelice degli altri, che pensa solo a come sbarazzarsi dei suoi nemici. Qualcuno come Luisa Magno, cinquantenne in guerra col mondo da sempre. Apparentemente ribelle ai valori tradizionali, Luisa si divide tra lavori precari, l’affetto per i figli e la nipotina, le furibonde liti con la madre, il fratello e la cognata Imma, vera ossessione del suo quotidiano. Mentre le due donne si sfidano tra denunce e insulti, tre zie anziane, coro tragicomico, cercano disperatamente di riportare la pace.